Il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 10348/2023 del 30 giugno 2023, ha affermato che il voto per delega espresso in assemblea da un condomino, che ha a sua volta delegato un’altra persona a partecipare alla medesima adunanza in suo luogo, non può essere computato ai fini del calcolo del quorum deliberativo richiesto dalla legge per la valida adozione della deliberazione assembleare.
Nel caso in esame, un condomino citava in giudizio il condominio per ottenere, preliminarmente, la sospensione dell’efficacia di una delibera condominiale e, nel merito, l’accertamento della nullità e/o dell’annullabilità di detta deliberazione relativamente ai punti 1 e 2 all’ordine del giorno, con i quali l’assemblea approvava il rendiconto ed il piano di riparto relativo all’esecuzione di lavori condominiali e revocava la pregressa delibera di turnazione del box condominiale esterno, manifestando la volontà di affittarlo il giorno prima dell’inizio del turno che avrebbe consentito al condomino attore l’utilizzo, per la prima volta, della parte comune.
In particolare, l’attore lamentava che all’assemblea avevano partecipato solo sei condomini invece degli otto indicati nel verbale presenze e deleghe, sicché la relativa delibera doveva considerarsi viziata, in quanto assunta con il solo voto favorevole di tre condomini, non costituenti la maggioranza dei presenti.
Al contrario, il condominio eccepiva la validità della deliberazione assunta, osservando che il voto per delega espresso da una condomina doveva ritenersi valido ed efficace ai fini del computo del quantum deliberativo, nonostante la condomina delegata, a sua volta, avesse delegato il figlio, comproprietario insieme alla prima di un appartamento sito nel medesimo complesso edilizio, a rappresentarla nella medesima riunione.
Il Tribunale di Roma ha accolto la domanda e ha annullato la delibera assunta con riferimento ai primi due punti all’ordine del giorno, affermando che la tesi sostenuta in giudizio dal condominio, secondo la quale un condomino che abbia rilasciato ad un altro condomino (o ad un terzo) la delega per partecipare al suo posto in assemblea possa, al contempo, presenziare alla medesima adunanza in qualità di delegato di altro condomino “contrasta con la natura e la funzione della delega che è uno strumento eccezionale che ha come presupposto l’impossibilità del delegante di partecipare, e, dunque, la sua assenza alla assemblea”.
La pronuncia in commento offre lo spunto per una breve disamina in ordine alle modalità di partecipazione all’assemblea di condominio, con particolare riguardo ai profili inerenti alla rappresentanza assembleare e alla validità della deliberazione assunta con la partecipazione alla medesima riunione di un condomino in qualità di delegante e di delegato.
L’assemblea è l’organo collegiale in cui si forma la volontà dei condomini, attraverso l’adozione di una delibera atta a manifestare all’esterno l’intenzione del gruppo.
La disciplina relativa alla costituzione, alla partecipazione e al funzionamento dell’assemblea è contenuta negli artt. 1135, 1136, 1137 c.c., nonché negli artt. 66 e 67 disp. att. c.c.
All’assemblea sono legittimati a partecipare tutti i condomini, a prescindere dai valori delle singole proprietà.
Prima della l. n. 220/2012, l’art. 1136, comma 6, c.c. stabiliva che l’assemblea non poteva deliberare se tutti i condomini non erano stati ritualmente invitati alla riunione.
Al contrario, le attuali formulazioni degli artt. 1136, comma 6, c.c. e 66, comma 3, disp. att. c.c. utilizzano la diversa e più ampia nozione di “aventi diritto”, in luogo del precedente riferimento ai soli “condomini”, sicché ora ogni avente diritto ha la possibilità di partecipare all’assemblea di condominio.
In ambito condominiale ciascun condomino è legalmente legittimato ex artt. 1136 a partecipare all’assemblea.
La legittimazione del condomino di partecipare all’assemblea, quale potere di disposizione del soggetto in relazione ad una determinata situazione giuridica, può essere conferita ad altri.
A tal proposito, l’art. 67, comma 1, disp. att. c.c. stabilisce che ogni condomino può intervenire all’assemblea anche a mezzo di rappresentante munito di delega scritta, allo scopo di regolare l’esercizio del diritto dei condomini di farsi rappresentare nelle assemblee, in maniera da garantire l’effettività del dibattito e la concreta collegialità delle riunioni. Pertanto, la partecipazione all’assemblea di condominio può avvenire personalmente o attraverso un delegato, così consentendo a ciascun condomino di prendere parte alla riunione per interposta persona, attraverso, ad esempio, un tecnico o un avvocato di fiducia deputato alla cura degli interessi di cui il primo è portatore all’interno del contesto condominiale.
La delega è un istituto giuridico che si colloca nella più ampia categoria degli atti autorizzatori e costituisce l’atto permissivo con il quale si rimuove un limite di validità e di efficacia a carico del delegato, conferendogli eccezionalmente la legittimazione ad agire e disporre della sfera giuridica del delegante.
Nella nozione di autorizzazione rientra la procura, che costituisce un negozio attributivo del potere di rappresentanza diretta, consistente in un’autorizzazione ad agire in nome dell’autorizzante. Ne consegue che ciascun condomino, nell’esercizio della sua autonomia privata, può autorizzare altri a compiere attività in nome proprio e che incidono nella sfera giuridica dell’autorizzante, mediante la preventiva adozione di un atto permissivo, volto ad attribuire all’autorizzato un autonomo potere dispositivo avente un determinato oggetto e specifici limiti.
In ambito condominiale, la giurisprudenza riconduce il rapporto tra delegante e delegato alle norme dettate in materia di rappresentanza e mandato, per cui l’atto compiuto dal rappresentante produce effetti giuridici nella sfera del condomino rappresentato, sicché il voto favorevole del rappresentante finisce, ad esempio, per precludere al delegante la legittimazione all’impugnazione accordata ad assenti, dissenzienti e astenuti dall’art. 1137, comma 2, c.c..
Peraltro, l’operato del delegato spiega i propri effetti anche e soprattutto nei rapporti tra i condomini, atteso che contribuisce a formare la “volontà assembleare”.
In tale contesto, fermo il limite generale ed assoluto posto dall’art. 67, comma 1, disp. att. c.c. all’esercizio del voto per delega in assemblea condominiale, a norma del quale se i condomini sono più di venti il delegato non può rappresentare più di un quinto dei condomini e del valore proporzionale dell’edificio, si discute se un condomino che abbia rilasciato ad un altro condomino, ovvero ad un terzo, la delega a partecipare al suo posto in assemblea possa, al contempo, presenziare alla medesima riunione in qualità di delegato di un altro appartenente alla medesima compagine condominiale.
Al riguardo, la pronuncia in commento pone un limite all’esercizio del voto per delega in ambito condominiale, affermando che la delega stessa rappresenta un istituto giuridico che trova il suo fondamento nella impossibilità per il delegante di partecipare all’assemblea, con la conseguenza che in assenza di detto elemento la votazione resa in sede assembleare non può ritenersi validamente espressa tramite una persona che, a sua volta, ha delegato un’altra a partecipare alla medesima riunione in propria sostituzione.
Tuttavia, se è vero che la delega è riconducibile agli istituti giuridici della rappresentanza e del mandato, appare logico ritenere che il condomino delegante o rappresentato possa sempre intervenire in assemblea per esprimere il proprio voto, ancorché abbia preventivamente delegato altri allo scopo.
Il conferimento del potere rappresentativo mediante il ricorso ad un atto autorizzatorio, quale la delega privata ad esprimere il voto in assemblea, infatti, non esaurisce i poteri e le facoltà che la legge riconosce al condomino in quanto tale, ma si limita ad estendere la legittimazione ad altri, rimuovendo un limite all’intervento di terzi soggetti nell’altrui sfera giuridica, ingerenza che risulterebbe altrimenti non consentita, illecita.
Alla stregua di quanto osservato è quindi possibile, ancorché inusuale, che in sede assembleare un condomino assuma la posizione di delegante e, al contempo, di delegato ad esprimere il voto altrui, come avvenuto nella fattispecie in commento.
Una siffatta eventualità non può escludere in radice la possibilità per l’interessato di esercitare i diritti e le facoltà che la legge gli riconosce, da un lato, in qualità di condomino e, dall’altro, in qualità di delegato, non potendosi ritenere che il conferimento della delega presupponga necessariamente l’esistenza di una condizione di impossibilità per il condomino delegante di partecipare all’assemblea.
Appare, infatti, ragionevole ancorare la ratio sottesa all’istituto della delega, quale atto autorizzatorio, alla mera volontà dell’autorizzante di legittimare altri ad agire in nome e nell’interesse proprio, senza che ciò importi obbligatoriamente la sussistenza di una pregressa o attuale situazione di impossibilità, materiale o giuridica, nell’esercizio dei poteri e delle facoltà che la legge riconosce all’autorizzante. Ed invero, la delega può trovare la sua ragion d’essere anche in un semplice rapporto di fiducia, che induce il condomino a delegare l’esercizio del proprio diritto di voto in assemblea ad altri soggetti, condomini o terzi, che considera, ad esempio, detentori di maggiori competenze tecniche, idonee a tutelare più efficacemente gli interessi di cui il primo è portatore nel contesto di riferimento.
D’altra parte, la Corte Suprema di cassazione esclude che una condizione di impossibilità possa rappresentare il presupposto indefettibile di operazioni giuridiche anche in assenza di un’autorizzazione del titolare della situazione giuridica soggettiva che assume rilevanza nel caso concreto.
In particolare, con riferimento alla gestione di affare altrui, prevista dall’art. 2028 ss. c.c., la Cassazione afferma che il requisito dell’absentia domini debba intendersi non già come impossibilità oggettiva e soggettiva di curare i propri interessi, ma come semplice mancanza di un rapporto giuridico in forza del quale il gestore sia tenuto ad intervenire nella sfera giuridica altrui, ovvero quale forma di spontaneo intervento senza opposizione o divieto del dominus, sebbene tale requisito non sia sufficiente ai fini della configurabilità della gestione, occorrendo altresì l’utilità della gestione stessa, l’utiliter coeptum.
In conclusione, se la situazione di impossibilità, oggettiva o soggettiva, non è richiesta espressamente dalla legge né ritenuta dalla giurisprudenza di legittimità quale presupposto indefettibile di operazioni giuridiche relative ad ipotesi di ingerenza nell’altrui sfera giuridica in assenza di autorizzazione del gerito, appare ragionevole sostenere che il requisito della impossibilità non possa essere elevato ad elemento imprescindibile di situazioni di fatto preventivamente autorizzate dall’interessato, avendo comunque cura di accertare che ciò non si traduca, nella fattispecie concreta, in un indebito, abusivo, ricorso all’istituto giuridico della delega all’interno del contesto condominiale.