Disciplina normativa

L’art. 1131 c.c. non è stato modificato (se non testualmente per il rinvio all’art. 1130) dalla Riforma del condominio operata con la legge 11 dicembre 2012, n. 220, sicché le novità relative all’ambito della legittimazione processuale dell’amministratore, nei limiti delle sue attribuzioni, contro i condomini e contro i terzi, continuano a discendere dall’opera della giurisprudenza.

Il comma 1 dell’art. 1131 c.c., per iniziare, specifica che l’amministratore, nei limiti delle sue attribuzioni, stabilite dalla legge o conferitegli dal regolamento, «può agire in giudizio sia contro i condomini che contro i terzi».

Limiti

Anche per il condominio, come per ogni persona o soggetto giuridico, ovvero per ogni parte soggettivamente complessa, vige il principio secondo cui la legittimazione processuale va d’ufficio accertata dal giudice con riferimento all’astratta idoneità della veste del soggetto che agisca in nome e per conto dell’ente ad abilitarlo alla rappresentanza sostanziale in ordine al rapporto dedotto in giudizio.

In tal senso, l’ambito della legittimatio ad processum dell’amministratore di condominio non può non coincidere con l’ambito delle sue attribuzioni, sul fondamento del principio dell’interesse ad agire (art. 100 c.p.c.), inteso non soltanto come obiettiva presenza o probabilità della lite, ma altresì come «appartenenza» della stessa a chi agisce, nel senso che la relazione della causa con l’amministratore agente debba consistere in ciò che l’interesse in lite sia «condominiale».

Non comporta, peraltro, conseguenze sul terreno della legittimazione processuale l’esistenza di una situazione di “condominio parziale”, nel senso che il fatto che oggetto di causa sia una cosa o un servizio destinato all’utilità di una parte soltanto del fabbricato non giustifica una distinta ed autonoma rappresentanza o costituzione nel giudizio. È quindi del tutto condivisibile la conclusione raggiunta in giurisprudenza quanto alla non ravvisabilità di un’ipotetica legittimazione processuale sostitutiva del condominio parziale rispetto al condomino dell’intero edificio. La tesi, in astratto, potrebbe essere che, configurandosi il condominio come un ente sfornito di autonoma personalità giuridica distinta da quella dei singoli condomini, pur esistendo un organo rappresentativo unitario dell’intero edificio, quale appunto l’amministratore, in ipotesi di condominio parziale, questo stesso potrebbe a sua volta, mediante un proprio distinto rappresentante, agire a difesa dei diritti comuni inerenti alle parti oggetto della più limitata contitolarità di cui all’art. 1123, comma 3: è ciò sia intervenendo nel giudizio in cui la difesa dei beni oggetto del condominio parziale sia stata già assunta dall’amministratore dell’intero fabbricato, sia anche avvalendosi dei mezzi di impugnazione per evitare gli effetti sfavorevoli della sentenza pronunciata nei confronti dell’intero condominio rappresentato dall’amministratore. A tacere delle difficoltà di carattere dogmatico che cagionerebbe l’assunto di una distinta ed ulteriore capacità processuale del condominio parziale, quando ancora permangono del tutto irrisolte le dispute relative all’entificazione del condominio dell’intero edificio, basta al riguardo replicare che i criteri di ripartizione delle spese necessarie per provvedere alla manutenzione delle parti comuni, stabiliti dagli artt. 1123, 1124, 1125 e 1126, non possono mai influire sulla legittimazione del condominio nella sua interezza, né sulla rappresentanza del suo amministratore estesa a tutti i condomini.

Il potere di rappresentanza dell’amministratore di condominio, in quanto fondato su disposizione di legge inderogabile, non può subire limitazioni né per deliberazione dell’assemblea né per volontà dell’amministratore medesimo. Peraltro, la mancanza di legittimazione processuale dell’amministratore di condominio, per difetto della necessaria valida autorizzazione preventiva (o ratifica) assembleare, determina l’inopponibilità della sentenza al condominio.

Attribuzione dell’amministratore e legittimazione autonoma

L’amministratore del condominio è legittimato, senza la necessità di una specifica autorizzazione assembleare, ad agire in giudizio nei confronti dei singoli condomini e dei terzi al fine di:

  1. eseguire le deliberazioni dell’assemblea dei condomini, compito nel quale è implicitamente ricompreso quello di difendere la validità delle delibere in relazione alla regolarità delle assemblee in cui le stesse furono adottate, come di agire in giudizio per l’esecuzione di una deliberazione assembleare o per resistere all’impugnazione di una delibera da parte del condomino senza la necessità di una specifica autorizzazione assembleare;
  2. curare l’osservanza del regolamento di condominio, compito che comporta la legittimazione ad agire e a resistere in giudizio per ottenere che un condomino non adibisca la propria unità immobiliare ad attività vietata dal regolamento condominiale contrattuale;
  3.  disciplinare l’uso delle cose comuni e la fruizione dei servizi comuni, così da assicurarne il migliore godimento a ciascuno dei partecipanti al condominio;
  4.  riscuotere dai condomini i contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea;
  5. compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio.

La legittimazione attiva dell’amministratore si estende poi ai presupposti necessari dei singoli momenti gestori, tra i quali si comprende il recupero della documentazione relativa alla gestione precedente, la quale raffigura una priorità di fatto indispensabile per l’espletamento delle richiamate attribuzioni sue proprie.

Procura al difensore

L’amministratore di condominio, per conferire procura al difensore al fine di costituirsi in giudizio nelle cause che rientrano nell’ambito delle proprie attribuzioni, non necessita di alcuna autorizzazione assembleare che, ove anche intervenga, ha il significato di mero assenso alla scelta già validamente compiuta dall’amministratore medesimo.

Autorizzazione dell’assemblea

Quando, invece, la rappresentanza attiva esorbiti dall’ambito delle attribuzioni ex art. 1130 c.c., rimanendo, tuttavia, la lite “condominiale”, cioè pertinente le parti comuni dell’edificio ed i diritti che su di esse vantano i partecipanti, è allora necessario che l’amministratore si procuri un’apposita investitura, deliberata dall’assemblea dei condomini con la maggioranza indicata dal comma 4 dell’art. 1136 c.c. Il conferimento all’amministratore dell’autorizzazione dell’assemblea a stare in giudizio in una controversia non rientrante tra quelle che può autonomamente proporre, ai sensi del primo comma dell’art. 1131 c.c., può sopravvenire utilmente, con effetto sanante, dopo la proposizione dell’azione, in forza di regolarizzazione ex art. 182 c.p.c.: l’operatività ex tunc della ratifica, nel campo del diritto processuale, permette, infatti, di riferire allo pseudorappresentato l’attività svolta dal falsus procurator.

Mandato Speciale

Se, infine, l’oggetto della controversia riguarda obblighi o diritti esclusivi dei singoli condomini, allora la rappresentanza dell’amministratore rimane del tutto estranea. Poiché per la sussistenza della rappresentanza processuale occorre sempre il conferimento di un mandato espresso rivestito della forma scritta, ove in un verbale di assemblea condominiale si conferisca all’amministratore l’espresso specifico incarico di stare in giudizio in nome e per conto di alcuni o di tutti i condomini per far valere, nel loro rispettivo interesse, una pretesa assegnata alla loro sfera giuridica dalle fattispecie negoziali di acquisto, lo stesso verbale (sia pure consacrante una deliberazione unanime) in tanto può essere idoneo a conferire all’amministratore il potere di rappresentanza convenzionale nel processo di singoli condomini in quanto sia stato sottoscritto individualmente da ciascun mandante. In particolare, poiché la legittimazione ad agire in giudizio dell’amministratore, in caso di pretese concernenti l’affermazione di diritti di proprietà (anche comune), può trovare fondamento soltanto nel mandato a lui conferito da ciascuno dei condomini, l’assenza dell’apposito potere rappresentativo in capo all’amministratore in relazione all’azione esercitata cagiona la mancata costituzione del rapporto processuale per difetto della legittimazione processuale, inscindibilmente connessa alla capacità di rappresentanza sostanziale, con conseguente nullità della procura alle liti, di tutti gli atti compiuti e della sentenza.

Fattispecie

Indicativamente, la legittimazione autonoma dell’amministratore si è ritenuta sussistere:

  • con riguardo ad azione di ripristino dei luoghi e di risarcimento dei danni nei confronti dell’autore e dell’acquirente di un manufatto che abbia abusivamente occupato una porzione di area;
  • al fine di promuovere azione di responsabilità, ai sensi dell’art. 1669 c.c., nei confronti del costruttore a tutela dell’edificio nella sua unitarietà, e non invece al fine di proporre, in difetto di mandato rappresentativo dei singoli condomini, le azioni risarcitorie per i danni subiti nelle unità immobiliari di loro proprietà esclusiva;
  • per instaurare un giudizio volto alla rimozione di finestre aperte abusivamente, in contrasto con il regolamento, sulla facciata dello stabile condominiale;
  • per tutte le azioni volte a realizzare la tutela delle parti comuni, fra le quali quelle di natura risarcitoria, con esclusione soltanto delle azioni che incidono sulla condizione giuridica dei beni cui si riferiscono;
  • per la richiesta di misura cautelari inerenti alle parti comuni;
  • per esercitare l’azione di reintegrazione nel possesso in relazione ad un’area destinata ad un diritto di uso comune da parte dei condomini;
  • per ottenere la cessazione degli abusi posti in essere da un condomino, consistenti nell’inosservanza degli orari stabiliti dal regolamento per lo scuotimento dalle finestre delle tovaglie e per la battitura dei tappeti;
  • al fine di proporre opposizione a decreto ingiuntivo, nonché impugnare la decisione del giudice di primo grado, per tutte le controversie che rientrino nell’ambito delle sue attribuzioni ex art. 1130 c.c., quali quelle aventi ad oggetto il pagamento preteso nei confronti del condominio dal terzo creditore in adempimento di un’obbligazione assunta dal medesimo amministratore per conto dei partecipanti, ovvero per dare esecuzione a delibere assembleari, erogare le spese occorrenti ai fini della manutenzione delle parti comuni o l’esercizio dei servizi condominiali.
    È stata invece negata la legittimazione processuale dell’amministratore, in difetto di apposita autorizzazione dell’assemblea :
  • in ordine ad una controversia riguardante i crediti contestati del precedente amministratore revocato;
  • per le azioni reali nei confronti dei terzi a difesa dei diritti dei condomini sulle parti comuni, ovvero tendenti a statuizioni relative alla titolarità ed al contenuto dei diritti medesimi, quale  l’accertamento della comunione del diritto reale d’uso costituito con atto pubblico dal venditore-costruttore, non potendosi includere nella nozione di “atti conservativi” dei diritti inerenti alle parti comuni il potere di esercitare azioni incidenti sulla condizione giuridica dei beni che ne siano oggetto;
  • per domandare il rilascio di un immobile condominiale, come per ogni azione di natura personale finalizzata al recupero di un bene da destinare all’ulteriore fruizione da parte di tutti i condomini;
  • a proporre azioni di riduzione in pristino nei confronti dei singoli condomini contro la volontà dell’assemblea stessa, in caso di violazione da parte di singoli proprietari delle norme del regolamento condominiale prevedenti limiti alle innovazioni nelle proprietà individuali.

Atti conservativi

Rientrano nell’ambito della legittimazione attiva dell’amministratore altresì «gli atti conservativi relativi alle parti comuni dell’edificio» (art. 1130, n. 4, c.c.), in quanto riferibili non soltanto ad attività materiali (quali la riparazione di muri portanti, tetti o lastrici), quand’anche ad attività giudiziali, in forma di azioni (petitorie, possessorie, cautelari) contro comportamenti illeciti posti in essere da terzi, necessarie per la salvaguardia dell’integrità dell’immobile.
La legittimazione ex art. 1130, n. 4, c.c. consente all’amministratore di promuovere pure l’azione di responsabilità extracontrattuale nei confronti dell’appaltatore, ai sensi dell’art. 1669 c.c., in presenza di difetti dell’immobile condominiale che determinano un’alterazione incidente negativamente ed in modo considerevole sul godimento dello stesso. L’attribuzione della titolarità delle azioni conservative non può, invero, intendersi circoscritta alla richiesta delle misure urgenti, e deve, piuttosto, essere estesa alle domande di risarcimento del danno connessa con la salvaguardia dei diritti sulle parti comuni, in caso di omessa, ritardata o inesatta manutenzione di queste.
La riscrittura dell’art. 1122 c.c. (che ha, peraltro, uniformato i criteri di offensività delle opere su parti di proprietà o uso individuale a quelli delle opere su cose comuni contemplati dall’art. 1120 cc., regolati dagli indici della stabilità, della sicurezza e del decoro architettonico dell’edificio) ha poi delineato un limite legale intrinseco alla proprietà delle singole unità immobiliari, ponendo in essere un obbligo imperfetto di dare preventiva notizia “in ogni caso” all’amministratore, perché ne riferisca in assemblea. Tale notizia deve dirsi volta a che l’amministratore possa determinarsi, nel caso, a sperimentare un’azione per la rimozione delle opere e la riduzione in pristino, rientrante, appunto, tra gli atti conservativi da compiere per preservare l’integrità delle cose comuni.
A norma, invece, dell’art. 1117 quater c.c., ove la destinazione d’uso delle parti comuni sia negativamente incisa dall’attività di alcuno dei partecipanti o di terzi, l’amministratore, come anche il singolo condomino, possono diffidare l’esecutore di tali attività pregiudizievoli o anche chiedere la convocazione dell’assemblea per far cessare, semmai in via giudiziaria, le turbative. L’art. 1117 quater, pur nella sua ambigua formulazione, non può spiegarsi come preclusivo della possibilità per l’amministratore di agire direttamente in sede giudiziaria, ovvero come volto ad accordare all’assemblea un’esclusiva potestà decisionale in materia; piuttosto, soltanto se l’attività lesiva della destinazione d’uso delle parti comuni metta in discussione l’assetto reale dei beni, ovvero la titolarità e il contenuto dei diritti dei condomini, l’amministratore dovrà premunirsi dell’autorizzazione dell’assemblea per agire in giudizio contro l’esecutore.
Nell’ipotesi, invece, di supercondominio, la legittimazione degli amministratori di ciascun condominio per gli atti conservativi, riconosciuta dagli artt. 1130 e 1131 c.c., si riflette, sul piano processuale, nella facoltà di richiedere le necessarie misure cautelari soltanto per i beni comuni all’edificio rispettivamente amministrato, non anche per quelli facenti parte del supercondominio, che, quale accorpamento di due o più singoli condominii per la fruizione dei beni comuni, deve essere gestito attraverso le decisioni dei propri organi, e, cioè, l’assemblea composta dai rappresentanti, per la gestione ordinaria delle parti comuni (art. 67, comma 3, disp. att. c.c.) o dai proprietari degli appartamenti che concorrono a formarlo, per la gestione straordinaria delle parti supercondominiali, e l’amministratore del supercondominio.

Gli amministratori di più condomìni di edifici compresi in un supercondominio non sono, viceversa, legittimati ad opporsi, in rappresentanza dei partecipanti ex art. 1131 c.c., al decreto ingiuntivo intimato da un creditore al supercondominio per ottenere il pagamento di un’obbligazione contratta dall’amministratore dello stesso, né possono fare valere l’obbligo di manleva assolto da quest’ultimo nei confronti e a beneficio del supercondominio garantito, non operando tra l’amministratore del supercondominio e gli amministratori dei condomìni alcuna “rappresentanza reciproca” o “legittimazione sostitutiva”.