Ogni riunione condominiale deve essere preceduta dalla convocazione di tutti gli aventi diritto, nel rispetto delle modalità stabilite dalla legge. Se qualcuno non viene avvisato regolarmente e non partecipa all’assemblea, ha poi la facoltà d’impugnare il deliberato nei trenta giorni successivi al momento in cui è venuto a conoscenza del verbale.
Se dovesse spirare, invano, questo termine, il condòmino non potrebbe impugnare più nulla e ogni contestazione sulla validità del deliberato sarebbe inammissibile, in quanto tardiva.
Sono questi i principi, peraltro già noti a molti, che sono emersi dalla recente sentenza del Tribunale di Roma n. 12861 del 2 settembre 2022. In particolare, nella vicenda oggetto di esame, l’ufficio capitolino ha dovuto stabilire, in caso di sequestro preventivo dell’immobile in condominio, a chi spetta il compito di gestire il bene e, nello specifico, chi deve essere il destinatario della convocazione all’assemblea.
Prima di tutto, però, è opportuno descrivere le circostanze di fatto che hanno caratterizzato la lite in commento.
Sequestro preventivo in condominio: la convocazione va al custode o al proprietario? Il caso concreto.
Una signora era diventata proprietaria di due unità immobiliari in un fabbricato in Roma per successione mortis causa.
In particolare, il titolo d’acquisto era stato un testamento olografo che, per gli altri potenziali successori, risultava falso.
Ne scaturiva, perciò, un procedimento penale in concomitanza del quale, a partire dal 2015, era disposto il sequestro preventivo dei suddetti beni. In tale occasione, era nominato custode degli immobili l’amministratore dell’edificio.
Successivamente, cioè nel 2020, la stessa condòmina impugnava ben otto delibere espresse dal 2016 al 2020. Ella sosteneva di essere era venuta a conoscenza di queste riunioni solo dopo aver ricevuto un decreto ingiuntivo per oneri condominiali mai pagati. Il motivo principale, per cui riteneva viziate le assemblee, stava nel fatto di non avere mai avuto alcun invito. Per questa ragione ne chiedeva l’annullamento.
Il condominio, costituitosi ritualmente, si difendeva affermando che l’attrice sapeva delle riunioni, ma che nonostante ciò, si era, costantemente, disinteressata degli oneri condominiali. In ogni caso, la difesa del convenuto intendeva smentire la tesi attorea, affermando che la proprietaria de quo era stata convocata tramite deposito dei vari avvisi presso il portiere, com’era prassi consolidata da anni.
Il Tribunale di Roma, esaminati gli atti e verificato che per un paio di assemblee, l’attrice era venuta a conoscenza dei deliberati già da tempo, rigettava la domanda sul punto, in quanto tardiva. Per le altre riunioni, invece, dichiarava la cessata materia del contendere.
Infatti, nelle more dell’impugnazione, era intervenuta una nuova assemblea che aveva sostituito quelle precedenti viziate nel procedimento di convocazione dell’attrice (art. 2377 c.c.).
Convocazione assemblea: si può depositare presso il portiere?
In tema di convocazione di un’assemblea condominiale, la norma di riferimento è l’art. 66 disp. att. c.c. Ebbene, a proposito delle modalità che bisogna utilizzare per invitare, validamente, gli aventi diritto alla riunione sono previste la raccomandata, la pec o la consegna a mano.
Si può, facilmente, dedurre che se non viene utilizzata nessuna delle tre opzioni, l’assemblea è viziata nella convocazione. Se ciò dovesse accadere, il condòmino disinformato ed assente, potrebbe impugnare il deliberato nei trenta giorni successivi dalla conoscenza della riunione, ad esempio, dal momento in cui gli è pervenuto il verbale, ex art. 1137 c.c.
Dall’insieme di queste disposizioni, si ricava che il metodo di convocazione attuato nella vicenda in commento è scorretto. Infatti, il semplice deposito dell’invito presso la casa del portiere non è una modalità prevista dalla legge. L’assemblea, così convocata, è pertanto invalida, previa impugnazione tempestiva dell’avente diritto non invitato regolarmente.
Sequestro preventivo in condominio: è corretta la convocazione al proprietario?
Secondo le norme del codice di procedura penale, in caso di sequestro di un immobile, al custode è affidato solo il compito di «… conservare e di presentare le cose a ogni richiesta dell’autorità giudiziaria… (art. 259 cod. proc. pen.)». Ebbene, per la giurisprudenza, al predetto custode non può essere affidato altro incarico, tanto meno quello di provvedere alla gestione patrimoniale del cespite.
Trattasi di affermazioni che hanno trovato puntuale riscontro anche nella sentenza in esame «il custode ha esclusivamente l’obbligo di conservare le cose sequestrate e di presentarle ad ogni richiesta dell’autorità giudiziaria e che pertanto non può essere imposto dall’autorità giudiziaria l’onere di provvedere ad ulteriori attività di gestione patrimoniale (Cass. pen. n. 35103/2003)».
Per il Tribunale di Civitavecchia, quindi, al custode nominato a seguito di un sequestro penale non può essere assegnato lo stesso ruolo del proprietario. Quest’ultimo, perciò, resta il soggetto legittimato a ricevere le convocazioni alle assemblee, a partecipare alle stesse e a votare i vari ordini del giorno «la legittimazione da parte dell’attrice a partecipare alle assemblee emergono in primo luogo dall’acquisto ereditario che non risulta caducato.
Inoltre, nessun potere sostitutivo risulta attribuito al custode nominato nel procedimento penale in cui era stato disposto il sequestro preventivo dei due appartamenti».