Con l’ordinanza n. 23582 del 02/08/2023, la seconda sezione della Corte di Cassazione affronta il tema della maggioranza richiesta al fine di modificare il criterio di ripartizione delle spese tra i condomini previsto all’interno del regolamento condominiale.

La pronuncia offre interessanti spunti di riflessione sulla distinzione tra norme di natura contrattuale e norme di natura regolamentare e sugli orientamenti in tema di approvazione e revisione delle tabelle millesimali.

Il caso e la statuizione della Corte

La pronuncia in commento trae origine dal giudizio di impugnazione proposto da alcuni condomini avverso la delibera assembleare con la quale era stato posto a loro carico il pagamento degli oneri condominiali relativi agli immobili in loro proprietà esclusiva, in quanto adottata a maggioranza, ex art. 1136 c.c., e non anche all’unanimità.

In particolare, i condomini facevano rilevare che nel regolamento condominiale approvato all’unanimità e, quindi, avente natura contrattuale, la società costruttrice aveva riservato a sé la proprietà degli immobili, poi da essi acquistati, con l’espresso esonero dei proprietari dal pagamento degli oneri condominiali, salva l’assunzione da parte della costruttrice dell’obbligo di procedere alla revisione delle tabelle millesimali in caso di mutamento della destinazione delle unità escluse dalle ripartizioni.

La domanda trovava accoglimento in primo grado.

I Giudici di appello, invece, ritenevano valida la modifica delle tabelle approvata a maggioranza, tenuto conto della natura di (mero) negozio di accertamento dell’atto di approvazione delle stesse.

La Corte di Cassazione con l’ordinanza in commento ha confermato il rigetto dell’impugnazione proposta dai condomini e la validità della delibera, affermando che “la clausola del regolamento condominiale con cui la società venditrice si riservava la proprietà dei piano piloty, privi di valori millesimali, e si obbligava, in caso di utilizzazione degli stessi, a procedere al calcolo degli stessi, con conseguente variazione delle tabelle, in funzione della variata destinazione di tali beni, non ha natura contrattuale in quanto non si tratta di clausola limitatrice dei diritti dei condomini sulle proprietà esclusive o comuni ovvero attributiva ad alcuni condomini di maggiori diritti rispetto agli altri”.

La natura delle tabelle millesimali e la relativa delibera di approvazione o revisione

Per comprendere la soluzione adottata dalla Corte, occorre muovere dall’esame degli orientamenti giurisprudenziali sulla natura delle tabelle millesimali e sul quorum richiesto per l’approvazione o la revisione delle stesse: nel caso in esame, infatti, si discute della validità della delibera di revisione dei criteri di ripartizione delle spese fissati nel regolamento condominiale adottata (solo) a maggioranza.

Le tabelle millesimali sono dei documenti tecnici allegati al regolamento condominiale che riportano le quote spettanti ai condomini in proporzione al valore della loro proprietà rapportato al valore dello stabile in cui le singole proprietà si trovano. Esse costituiscono uno strumento fondamentale per la gestione del condominio in quanto servono a stabilire l’entità della partecipazione di ciascun condomino alle spese sui beni comuni e a determinare il valore del relativo voto in sede di assemblea, ciò evincendosi dal richiamo agli artt. 1118, 1123, 1124, 1126 e 1136 c.c. effettuato dall’art. 68 disp. att. c.c. (come modificato dalla l. 220/2012).

La natura delle tabelle millesimali e la individuazione del quorum assembleare per l’approvazione o la revisione delle stesse sono state oggetto di posizioni contrastanti in giurisprudenza.

Secondo un primo e più risalente filone interpretativo, l’atto di approvazione delle tabelle millesimali, pur non potendo essere considerato un contratto, non avendo carattere dispositivo (i condomini, di regola, non intendono modificare la portata dei loro rispettivi diritti ed obblighi di partecipazione alla vita del condominio, ma intendono soltanto determinare quantitativamente tale portata), andava inquadrato nella categoria dei negozi di accertamento, con conseguente necessità del consenso di tutti i condomini (Cass. civ., 8/7/1964, n. 1801).

D’altronde, si affermava in dottrina, “se (…) è senz’altro vero che la tabella millesimale in sé esprime in termini aritmetici un già preesistente rapporto di valore tra le unità immobiliari in proprietà esclusiva e l’intero edificio, è altrettanto vero che tale espressione non rimane confinata nell’ambito di una mera misurazione matematico-quantitativa, ma ha precisi riflessi sul piano giuridico, atteso che, in forza del meccanismo legislativo previsto dall’art. 1118 c.c., essa comporta l’effetto di accertare l’esatta consistenza della quota di proprietà spettante ai condomini sui beni comuni, con i conseguenti pesi e vantaggi, connessi alla titolarità di detta quota, sotto il profilo della ripartizione delle spese condominiali e del calcolo dei quorum costitutivi e deliberativi dell’assemblea” (M. Bellante, nota a Cass. civ., sez. un., 09/8/2010, n.18477, in Giust. civ., fasc.7-8, 2011).

Si è, tuttavia, osservato che “La trasposizione in termini matematici di un rapporto di valori non presuppone affatto la necessaria esistenza di una res dubia” e che l’atto di approvazione delle tabelle millesimali non produce l’effetto proprio del negozio di accertamento, ovvero la definizione di una situazione incerta, come si desume dalla “permanente rivedibilità” delle tabelle nel caso di discrepanze fra i valori determinati ed i valori effettivi ex art. 69, n. 1, disp. att. c.c. (A. Scarpa, nota a Cass. civ. Sez. Unite, 09/8/2010, n. 18477).

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 18477 del 2010, componendo il contrasto interpretativo esistente, hanno ritenuto che le tabelle millesimali non si pongono “come fonte diretta dell’obbligo contributivo del condomino, che è nella legge prevista, ma solo come parametro di quantificazione dell’obbligo, determinato in base ad una valutazione tecnica”, inquadrando, per l’effetto, l’approvazione delle tabelle nella ampia categoria degli “atti giuridici”, perché mentre “caratteristica propria del negozio giuridico è la conformazione della realtà oggettiva alla volontà delle parti, l’atto di approvazione della tabella fa capo ad una documentazione ricognitiva di tale realtà, donde il difetto di note negoziali”.

Dall’esclusione della natura negoziale delle tabelle e dalla circostanza che le stesse, in base alla previsione dell’art. 68 disp. att. c.c., sono allegate al regolamento condominiale, le Sezioni Unite hanno fatto discendere la conseguenza che le tabelle vadano approvate con la stessa maggioranza qualificata richiesta per il regolamento di condominio, e cioè con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio, affermando che “(…)in senso contrario non sembra si possa sostenere che la allegazione delle tabelle al regolamento è puramente formale (…) in linea di principio, infatti, un atto allegato ad un altro, con il quale viene contestualmente formato, deve ritenersi sottoposto alla stessa disciplina, a meno che il contrario risulti espressamente”.

Va fatta salva l’ipotesi in cui le tabelle non siano meramente “di gestione” ma “contrattuali”, ovverosia quando con esse si è inteso fissare criteri di ripartizione delle spese comuni diversi da quelli stabiliti dalla legge (cfr. in motivazione Cass., sez. un., 2010 cit.).

In particolare, è stato in più occasioni affermato che la delibera di approvazione delle tabelle millesimali, quand’anche allegata al regolamento condominiale, così come quella di revisione, non necessita del consenso unanime dei condomini ogniqualvolta la stessa abbia funzione meramente ricognitiva del valore degli immobili e, pertanto, non deroghi ai criteri di legge per la ripartizione delle spese condominiali; viceversa, nel caso in cui le tabelle millesimali deroghino a tali criteri, aumentando o limitando i diritti di alcuni condomini sulle parti comuni, e quindi integrino la “diversa convenzione” richiamata dall’art. 1123 c.c., allora presentano natura contrattuale e la relativa delibera, a pena di nullità, deve essere adottata all’unanimità da tutti i condomini (in tal senso, si vedano Cass. civ., sez. II, 26/04/2022, n.13024Cass. civ., sez. II, 10/03/2020, n. 6735).

Peraltro, in seguito alle modifiche apportate dalla legge n. 220 del 2012, l’art. 69 disp. att. c.c. prevede espressamente che i valori proporzionali delle singole unità immobiliari espressi nella tabella millesimale redatta in applicazione dei criteri legali o convenzionali possono essere rettificati o modificati all’unanimità; è invece sufficiente la maggioranza prevista dall’art. 1136, co. 2, c.c. qualora la rettifica o la modifica siano conseguenza di un errore o del significativo mutamento delle condizioni dell’edificio e, per l’effetto, del valore proporzionale delle proprietà dei condomini.

Un precedente interessante è costituito dall’ordinanza della seconda sezione della Corte di Cassazione n. 20888 del 18/07/2023 – richiamata dall’ordinanza in commento – la quale, facendo applicazione dei principi enunciati, ha affermato che è nulla la deliberazione dell’assemblea di condominio approvata a maggioranza con cui si stabilisca, “per una unità immobiliare adibita ad uso ufficio ed in ragione dei disagi da essa provocati, un incremento forfetizzato della quota di contribuzione alle spese di gestione dell’impianto di ascensore, sul presupposto della più consistente utilizzazione, rispetto agli altri, del bene comune, in quanto la modifica del criterio legale dettato dall’art. 1124 c.c. (il quale già consente di tener conto del più intenso uso in proporzione all’altezza dei piani) richiede il consenso di tutti i condomini, e perciò una convenzione, non essendo comunque applicabile alle spese per il funzionamento dell’ascensore il criterio di riparto in base all’uso differenziato previsto dal comma 2 dell’art. 1123 c.c.”.

La delibera oggetto della pronuncia appena citata, prevedendo l’aumento della quota di contribuzione del condomino per ragioni ulteriori rispetto a quelle tipizzate (segnatamente, la più consistente utilizzazione dell’immobile), non ha funzione meramente ricognitiva del valore del bene e, quindi, portata limitata all’applicazione dei criteri legali, ma introduce una deroga a tali criteri che, come tale va adottata all’unanimità.

La soluzione della Corte a spunti di riflessione.

La fattispecie posta all’esame della Corte di legittimità ha ad oggetto la modifica dei criteri di ripartizione delle spese stabiliti all’interno di un regolamento approvato all’unanimità.

La Corte muove dalla considerazione che la determinazione delle quote millesimali all’interno di un regolamento contrattuale non implica tout court la natura contrattuale della relativa norma, richiamando a tal fine quanto statuito dalle Sezioni Unite del 2010 circa la diversa natura delle tabelle millesimali rispetto al regolamento condominiale.

Sulla scorta, poi, dei precedenti giurisprudenziali relativi alla distinzione tra norme di natura contrattuale e norme di natura regolamentare, i giudici di legittimità affermano che la norma inserita nel regolamento condominiale, approvato all’unanimità, con cui la società costruttrice riservi a sé la proprietà dei locali posti nei piani piloty, escludendone al contempo il valore millesimale – e, quindi, esonerandosi dal partecipare alla ripartizione delle spese –, non ha natura contrattuale, in quanto unicamente finalizzata a disciplinare l’uso delle parti comuni e la partecipazione di ciascun condomino alle relative spese.

La Corte conclude, dunque, che la modifica di una norma di natura regolamentare non necessita del consenso di tutti i condomini, ma può avvenire con la maggioranza qualificata prevista dall’art. 1136, co. 2, c.c..

Deve osservarsi che l’applicazione dei principi giurisprudenziali richiamati dalla pronuncia in esame in ordine alla differenza tra norme regolamentari e norma contrattuali, potrebbe portare anche a una diversa lettura della fattispecie.

Va premesso che il c.d. piano “in pilotis” o “piloty” è lo spazio a livello del suolo su cui insiste un edificio realizzato su piloni, e comprende gli elementi di sostegno di un fabbricato, i quali, tipo palafitta, sono collocati per isolarlo completamente dal suolo (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 07/01/2019, n. 150).

La giurisprudenza di legittimità ne ha affermato la natura condominiale, in quanto avente le caratteristiche indicate dall’art. 1117 c.c., salva espressa riserva (Cass. civ., sez. II, 16/07/1994, n. 6696; tra le pronunce di merito, si veda Trib. Torino sez. II, 14/06/2022, n.2606)

La riserva di proprietà contenuta nel regolamento condominiale, in quanto integrante una deroga alla presunzione di condominialità delle aree e dei beni che, ai sensi dell’art. 1117 c.c., per le loro caratteristiche strutturali non siano oggettivamente destinate a servizio esclusivo di una o più unità immobiliari, deve essere approvata all’unanimità: essa, infatti, deroga ai criteri legali per la determinazione delle parti comuni e costituisce la fonte, contrattuale, di alterazioni e limitazioni dei diritti dei condomini sulle parti comuni (cfr. tra le più recenti Cass. civ., sez. II, 6/7/2022, n. 21440).

Sebbene in linea di principio la natura contrattuale del regolamento non “si comunichi” al criterio di ripartizione delle spese relative al bene oggetto della diversa convenzione – stante, come detto, la diversa natura e funzione delle tabelle millesimali rispetto al regolamento – qualora alla riserva di proprietà si accompagni, come nel caso posto all’esame della Corte, anche l’esclusione del valore millesimale del piano piloty e quindi l’esonero del relativo proprietario dalle ripartizioni, alla relativa clausola potrebbe riconoscersi portata contrattuale e non meramente regolamentare, qualora, per le specifiche caratteristiche dell’edificio, tale previsione comporti una deroga ai criteri legali per la formazione delle tabelle millesimali e l’accrescimento delle quote di contribuzione degli altri condomini.

La diversa lettura prospettata rimane, nondimeno, strettamente correlata alle caratteristiche del caso concreto e alla  conformazione dell’edificio condominiale (potendosi, in astratto, prospettare solo, ad esempio, nel caso in cui le scale condominiali o gli ascensori siano a servizio anche dei piani pilotis) e, quindi, alla verifica se l’esclusione del valore millesimale dei beni, per le loro precipue caratteristiche al momento dell’approvazione del regolamento, sia frutto dell’applicazione dei criteri legali o costituisca deroga ad essi.

In tale ultimo caso (che non pare ricorrere nel caso esaminato dalla Corte), alla norma del regolamento condominiale disciplinante il criterio di ripartizione delle spese potrebbe attribuirsi natura contrattuale e la relativa modifica necessiterebbe del consenso unanime dei condomini.