Con la sentenza del 29 giugno 2023, n. 440, il Tribunale di Prato ha statuito che in tema di condominio negli edifici, una volta osservate tutte le precauzioni e le cautele necessarie (comunicazione a tutti i condomini, affissione di un apposito cartello ampiamente visibile che ne segnala la presenza, angolo visuale di inquadramento al minimo invasivo), l’installazione di una telecamera presso la proprietà esclusiva non costituisce violazione del diritto alla riservatezza, dovendosi contemperare tale diritto con quello contrapposto alla tutela della sicurezza e incolumità.

Il fatto

Una condomina ha citato in giudizio dinnanzi al Tribunale di Prato due condomini per ottenere la rimozione di una telecamera da loro installata e il risarcimento del danno subito. A parere dell’attrice, l’impianto di videosorveglianza, finalizzato a tutelare l’incolumità e la sicurezza personale dei convenuti, sarebbe stato posizionato in modo tale da inquadrare non solo e non tanto l’area prospiciente l’abitazione di loro proprietà esclusiva, quanto piuttosto l’intero pianerottolo, compreso il vano scala, l’ascensore e l’ingresso dell’abitazione dell’attrice – tutti beni condominiali, contrariamente a quanto disposto dal Codice civile -. Ciò avrebbe causato un’inammissibile intrusione nell’altrui vita privata e domestica, con una palese e grave violazione della privacy.

I condomini convenuti, per parte loro, hanno sostenuto che il ricorso alla telecamera si fosse reso necessario a seguito di numerosi episodi di molestie e persecuzioni, poste in essere dall’attrice e dalla sua famiglia. Inoltre, la telecamera sarebbe stata posizionata nell’unico punto utile a videosorvegliare l’area antistante all’appartamento, riprendendo inevitabilmente anche le scale e la porta dell’ascensore, date le piccole dimensioni del pianerottolo.

Il Tribunale di Prato ha giudicato infondate le doglianze dell’attrice, ritenendo insussistente una qualche forma di violazione della privacy. Infatti, tutti i condomini erano a conoscenza dell’installazione della telecamera, i convenuti avevano affisso un cartello per segnalarne la presenza e la telecamera non era rivolta appositamente verso l’abitazione dell’attrice. Visto l’astio e il risentimento tra le parti, che è sfociato anche in condotte sottoposte al vaglio del giudice penale, il diritto alla sicurezza e all’incolumità dei convenuti è apparso prevalente rispetto alla tutela del diritto alla riservatezza dell’attrice, che non viene ripresa nella sua vita privata.

Premessa: la genesi del diritto alla riservatezza e il panorama normativo

Con la sentenza in commento, il Tribunale di Prato ha affrontato la questione inerente al delicato bilanciamento tra il diritto alla riservatezza, da un lato, e la sicurezza delle persone e dei beni, dall’altro.

Mentre il diritto alla incolumità personale e alla sicurezza di sé e dei propri beni trova un pacifico fondamento costituzionale (artt. 2, 32, 42 Cost.) e un’adeguata tutela ordinamentale, che affonda le proprie origini nel diritto romano, il diritto alla riservatezza o diritto alla privacy si è affermato con un certo ritardo rispetto agli approdi cui da tempo era pervenuta la cultura giuridica degli ordinamenti di Common law.

Originariamente, mancando all’uopo una cornice normativa, il diritto alla riservatezza è stato inteso come un’estrinsecazione dei diritti della personalità, espressione della dignità e del decoro dell’individuo. Il primo riferimento, in ambito sovranazionale, si rinviene nella Convenzione Europea dei diritti dell’uomo (CEDU), che all’art. 8 riconosce il diritto fondamentale al rispetto della propria vita privata e familiare, del domicilio e della corrispondenza. Poi, con l’emanazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea del 2000, quei diritti sono stati riconosciuti e ampliati anche in ambito unionale.

L’importanza della tutela della riservatezza dei dati personali ha portato alla stesura di diversi regolamenti, direttive europee e leggi nazionali. In particolare, il nostro ordinamento ha dato attuazione alla direttiva 95/46/CE tramite l’adozione del D.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, noto come il Codice in materia di protezione dei dati personali, poi modificato a seguito dell’entrata in vigore del Regolamento UE n. 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali e alla loro libera circolazione, che ha abrogato la precedente direttiva. Il Regolamento, oltre a delimitare l’oggetto, le finalità, l’ambito di applicazione materiale e territoriale e i principi relativi al trattamento dei dati personali, prevede l’istituzione di un’autorità di controllo pubblica e indipendente, predisposta a verificare la coerente applicazione del regolamento e a tutelare i diritti e le libertà fondamentali delle persone fisiche rispetto al trattamento dei loro dati (art. 51). In attuazione di tale disposizione, l’art. 2 bis Cod. privacy individua l’autorità di controllo nel Garante per la protezione dei dati personali (da qui in poi il “Garante”), fornendone una puntuale disciplina agli artt. 153 e s.s.. I provvedimenti, le decisioni e i pareri del Garante, sono parte integrante del quadro di riferimento, entro il quale vagliare di volta in volta la legittimità del trattamento dei dati personali.

Le applicazioni del diritto alla privacy in ambito condominiale: la videosorveglianza

Sempre più spesso si assiste all’installazione di impianti di videosorveglianza a tutela della propria incolumità, della sicurezza personale e del diritto di proprietà, che devono essere utilizzati nel rispetto del diritto alla privacy di chi viene ripreso. Tramite le telecamere, il proprietario ottiene delle immagini che, in linea generale e astratta, potrebbero essere registrate, trasferite a terzi e utilizzate per i più svariati scopi. Di per sé, è indubbio che le immagini che raffigurano persone costituiscano dei dati personali a loro riferibili – intesi come “qualunque informazione relativa a persone fisiche, giuridiche, enti o associazioni identificati o identificabili, anche indirettamente, mediante qualsiasi altra informazione” (art. 4 Cod. privacy) -, perché rappresentano l’individuo in una certa condizione e in determinate circostanze di tempo e di luogo, che afferiscono alla sua vita privata e al diritto alla riservatezza. È altrettanto indubbio che, in assenza di una diversa normativa, che regoli in modo specifico l’utilizzo e la gestione degli impianti di videosorveglianza, trovino applicazione le disposizioni generali in tema di protezione dei dati personali. Dunque, si devono contemperare i diversi interessi in gioco, parimenti garantiti dalla Costituzione, cercando di raggiungere quel delicato equilibrio che solo la soluzione del singolo caso consente di individuare.

Il problema si pone anche in ambito condominiale, perché l’installazione di impianti di videosorveglianza delle parti comuni o delle proprietà esclusive comporta una preliminare verifica dei soggetti che vi provvedono, delle finalità e delle modalità della videoripresa. Da tali elementi, invero, si deduce la legge applicabile.

Mancando un’apposita disciplina, in origine la materia era stata regolamentata dalla normativa in tema di protezione dei dati personali, dai correlati provvedimenti del Garante e dai principi elaborati dalla giurisprudenza. In particolare, il Garante è intervenuto con un primo provvedimento dell’8 aprile 2010, che, dopo aver statuito espressamente che la raccolta, la registrazione, la conservazione e, in generale, l’utilizzo di immagini configura un trattamento di dati personali (art. 4, comma 1, lett. b), Cod. privacy), ha riconosciuto la possibilità di utilizzare sistemi di videosorveglianza per approntare un livello elevato di tutela dei diritti e delle libertà fondamentali, purché ciò non determini un ´ingerenza ingiustificata nei diritti e nelle libertà fondamentali degli interessati. Inoltre, ha precisato che l’installazione dei sistemi di rilevazione delle immagini deve avvenire nel rispetto, oltre che della disciplina sulla protezione dei dati personali, anche delle altre disposizioni dell’ordinamento applicabili, quali ad es. le vigenti norme dell’ordinamento civile e penale in tema di interferenze illecite nella vita privata, sul controllo a distanza dei lavoratori, in materia di sicurezza presso stadi e impianti sportivi, o con riferimento a musei, biblioteche statali e archivi di Stato.

In tale quadro, pertanto, è necessario che: il trattamento dei dati attraverso sistemi di videosorveglianza sia fondato su uno dei presupposti di liceità che il Codice prevede espressamente; in ossequio al principio di necessità, ciascun sistema informativo e il relativo programma informatico vengano conformati già in origine in modo da non utilizzare dati relativi a persone identificabili quando le finalità del trattamento possono essere realizzate impiegando solo dati anonimi; la videosorveglianza venga effettuata nel rispetto del c.d. principio di proporzionalità nella scelta delle modalità di ripresa e dislocazione, nonché nelle varie fasi del trattamento, che deve comportare, comunque, un trattamento di dati pertinenti e non eccedenti rispetto alle finalità perseguite .

Il Garante ha altresì segnalato al Governo e al Parlamento la carenza di un’apposita regolamentazione della videosorveglianza in ambito condominiale, a cui il legislatore ha provveduto introducendo, nell’ambito della Riforma apportata con la L. 220/2012, l’art. 1122 ter c.c.. La norma dispone che laddove i condomini intendano installare un impianto di videosorveglianza sulle parti comuni dell’edificio, la decisione deve essere presa dall’assemblea con la maggioranza degli intervenuti che rappresenti almeno la metà del valore dell’edificio (art. 1136, commi 2 e 4 c.c.)[6]. Essenzialmente si qualifica l’intervento come un’innovazione ex art. 1120 c.c., “agevolata” dal punto di vista del quorum deliberativo per il fatto che non è necessario il voto della maggioranza degli intervenuti all’assemblea che rappresenti almeno i due terzi del valore dell’edificio (art. 1136, comma 5 c.c.).

Oltre alla delibera assembleare, i condomini devono osservare determinate modalità di videoregistrazione, in modo da rispettare i diritti dei soggetti ripresi e le norme sulla privacy applicabili. Se il sistema di videosorveglianza è installato dal condominio per controllare le aree comuni, devono essere adottate tutte le misure e le precauzioni previste dal Codice della privacy e dal provvedimento generale del Garante in tema di videosorveglianza, e segnatamente: le telecamere devono essere segnalate con appositi cartelli, eventualmente avvalendosi del modello predisposto dal Garante; la videocamera deve essere collocata in un punto tale da riprendere solo le aree comuni da controllare, non anche le zone limitrofe o estranee al condominio come i marciapiedi, la strada, gli esercizi commerciali attigui o le proprietà esclusive di altri individui, né particolari che non risultano rilevanti; le registrazioni possono essere conservate per un periodo limitato, tendenzialmente non superiore alle 24-48 ore, anche in relazione a periodi di festività o a specifiche esigenze come la chiusura di esercizi e uffici che hanno sede nel condominio. I dati raccolti devono essere protetti con idonee e preventive misure di sicurezza, che ne consentano l’accesso alle sole persone autorizzate (cioè il titolare, il responsabile o l’incaricato del trattamento). Tali modalità rappresentano la diretta applicazione dei principi di liceità, di necessità, di proporzionalità e di finalità che regolano l’attività di videosorveglianza in funzione della massima tutela possibile della riservatezza.

Questi stessi principi sono stati richiamati da una recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea che, intervenendo in via pregiudiziale sulla compatibilità, con il diritto unionale, delle disposizioni nazionali che autorizzano l’installazione di un impianto di videosorveglianza in un condominio, ha affermato che le norme europee poste a tutela della privacy (ratione temporis vigenti, ovvero gli artt. 6, par. 1, lett. c), e 7, lett. f), della Dir. 95/46/CE, oggi trasfusi negli artt. 5, par. 1, lett. c) e 6, par. 1, lett. f) del Regolamento UE n. 2016/679) “non ostano a disposizioni nazionali, le quali autorizzino la messa in opera di un sistema di videosorveglianza installato nelle parti comuni di un immobile ad uso abitativo, al fine di perseguire legittimi interessi consistenti nel garantire la sicurezza e la tutela delle persone e dei beni, senza il consenso delle persone interessate, qualora il trattamento dei dati personali, effettuato mediante tale impianto di videosorveglianza, non possa ragionevolmente essere raggiunto in modo altrettanto efficace con altri mezzi meno pregiudizievoli per le libertà ed i diritti fondamentali delle medesime persone interessate”.

Gli impianti di videosorveglianza installati da un singolo proprietario a tutela di parti di proprietà esclusiva e l’art. 615 bis c.p..

Distinta dall’ipotesi appena esaminata è quella che si verifica allorquando un singolo condomino intenda munirsi di telecamere per sorvegliare l’unità abitativa di sua esclusiva proprietà, negli spazi interni e all’ingresso. È quanto si è verificato nel caso affrontato dal Tribunale di Prato, in cui, a ben vedere, non si discuteva della legittimità di una delibera assembleare con cui si disponeva l’installazione di un impianto condominiale di videosorveglianza, ma della liceità di un impianto privato che, pur essendo finalizzato alla tutela della sicurezza e dell’incolumità dei condomini che lo avevano installato, riprendeva anche l’ingresso adiacente di un’altra unità abitativa e alcune parti comuni dell’edificio (l’ascensore, le scale e l’intero pianerottolo).

Ora, se il sistema di videosorveglianza viene utilizzato per fini esclusivamente personali (quali la tutela della propria sicurezza e incolumità, ovvero dei propri beni) e i dati non vengono comunicati sistematicamente a terzi o diffusi, non trova applicazione il Regolamento UE n. 2016/679, che lo esclude espressamente all’art. 2, par. 2, lett. c), né il Codice in materia di protezione dei dati personali.

Ci si chiede, allora, se l’installazione di tale sistema sia totalmente libera o se, in considerazione dei diversi interessi in gioco, il condomino sia comunque tenuto a osservare certe modalità.

Esclusa la necessità di una delibera di approvazione dell’assemblea condominiale, che è prevista solo per l’installazione di impianti di videosorveglianza sulle parti comuni dell’edificio (art. 1122 ter c.c.), si ritiene necessaria l’adozione di opportune cautele che consentano la tutela della riservatezza dei terzi. Tra queste, sicuramente idonee sono la comunicazione dell’intervento all’amministratore del condominio e/o a tutti i condomini; l’affissione di un apposito cartello che segnala la presenza dell’impianto; l’attento orientamento delle telecamere, che deve essere il meno invasivo possibile e rivolto solo ai beni di proprietà esclusiva.

L’inosservanza di questi accorgimenti può avere importanti ricadute civilistiche e penalistiche. Per un verso, l’installazione di impianti di videosorveglianza privata, non giustificati da una reale esigenza di tutela dell’incolumità personale e della sicurezza personale e patrimoniale, ovvero non adeguatamente segnalati e visibili dai terzi, potrebbe integrare un atto emulativo, cioè un atto vietato in quanto non abbia altro scopo che quello di nuocere o recare molestia ad altri (art. 833 c.c.). Per altro verso, l’ingiustificata interferenza nella vita privata altrui potrebbe integrare il delitto di cui all’art. 615 bis c.p., a mente del quale chiunque, mediante l’uso di strumenti di ripresa visiva o sonora, si procura indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata svolgentesi nei luoghi indicati nell’art. 614 (ndr nell’abitazione, in altro luogo di privata dimora o nelle loro appartenenze) o, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, chi rivela o diffonde, mediante qualsiasi mezzo di informazione pubblico, le notizie e le immagini così ottenute, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni. La norma, posta a salvaguardia dell’interesse alla riservatezza, non tutela solo il soggetto direttamente attinto dall’abusiva interferenza nella propria vita privata, ma anche chiunque, in quel luogo, compia abitualmente atti della vita privata, sì da comporre un unitario quadro rappresentativo di un’area riservata e preclusa alle indebite intrusioni dall’esterno. Per escludere la configurazione del delitto e l’illegittimità dell’intervento, occorre che l‘angolo visuale delle riprese sia limitato ai soli spazi di propria esclusiva pertinenza (ad esempio antistanti l’accesso alla propria abitazione) escludendo ogni forma di ripresa, anche senza registrazione di immagini, relativa ad aree comuni (cortili, pianerottoli, scale, garage comuni) ovvero ad ambiti antistanti l’abitazione di altri condomini.

In ogni caso, si dovrà avere riguardo alle condizioni accertate nel caso concreto, per verificare se, nonostante gli opportuni accorgimenti e le cautele prima indicate, la telecamera non possa che riprendere anche aree comuni o beni condominiali, come è avvenuto nella vicenda di cui alla sentenza in commento. Il Tribunale di Prato ha accertato che il piano in cui si trova l’abitazione dei convenuti è “un pianerottolo di dimensioni molto piccole, dove i portoni delle abitazioni delle odierne parti in causa sono posti l’uno accanto all’altro”, per cui “è inevitabile che la telecamera sia puntata nella medesima direzione, non diversamente orientabile, perché altrimenti non inquadrerebbe l’abitazione dei convenuti nella sua interezza”. In tale evenienza, come anche affermato dal Garante in passato, la sussistenza della violazione del diritto alla riservatezza va valutata alla luce dell’opposta esigenza di garantire il diritto alla tutela della propria sicurezza e incolumità, che, nel caso di specie, sono risultati prevalenti rispetto al diritto alla privacy della parte attrice.