L’amministratore risponde del proprio inadempimento secondo le norme del mandato ordinario; tanto si evince dal richiamo contenuto all’interno del quindicesimo comma dell’art. 1129 c.c. secondo cui, per quanto non disciplinato nel medesimo articolo, si applicano le disposizioni previste dal codice civile a proposito, appunto, del contratto di mandato.

Il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 8568 del 31 maggio 2022, ha risposto al seguente quesito: l’amministratore può trattenere l’avanzo di cassa adducendo come pretesto di dover compensare delle somme che aveva anticipato per conto del condominio? Vediamo qual è stata la soluzione offerta dal giudice capitolino.

L’azione di responsabilità contro l’amministratore

Un condominio citava in giudizio il proprio ex amministratore chiedendo:

  • la restituzione dell’avanzo di cassa indebitamente trattenuto;
  • il risarcimento dei danni per non avere pagato il servizio idrico, causando così la sospensione della fornitura.

Con riferimento alla prima pretesa, la compagine evidenziava come, dalla documentazione contabile, fosse emerso un avanzo di cassa, mentre, di fatto, sul conto corrente condominiale non fosse stato rinvenuto alcun importo.

L’amministratore si giustificava asserendo che la somma era stata trattenuta a titolo di anticipazioni relative a precedenti gestioni.

Per quanto concerne l’azione di responsabilità, l’amministratore affermava che il mancato pagamento della società era stata causato dalla morosità dei condòmini.

Amministratore: l’obbligo di giustificare il compenso ulteriore

Il Tribunale di Roma, accogliendo entrambe le domande proposte dal condominio, precisa preliminarmente come l’amministratore di condominio che sia stato revocato dall’assemblea o dall’autorità giudiziaria abbia l’obbligo, ai sensi dell’art. 1713 c.c., di rendere il conto della sua gestione e di rimettere al mandante (ossia ai condòmini) tutto ciò che ha ricevuto per conto del condominio, atteso che, una volta revocato, il mandatario non ha più titolo per trattenere quanto gli è stato somministrato dal mandante.

L’amministratore revocato, quindi, è chiamato a giustificare in che modo abbia svolto la sua opera attraverso i necessari documenti che consentano di stabilire se il suo operato sia stato conforme ai criteri di buona amministrazione.

Nel caso di specie, il condominio chiedeva la restituzione delle somme trattenute dal convenuto, alcune delle quali a titolo di “anticipazione relative a precedenti gestioni”.

Rispetto a queste ultime, occorre osservare che, trattandosi di anticipazioni, l’amministratore ha mancato di assolvere all’onere di dimostrare che le somme asseritamente impiegate a favore del condominio provenivano effettivamente dal suo patrimoniale personale, ad esempio producendo bonifici o assegni tratti dal suo conto corrente e versati su quello dell’ente di gestione o di terzi creditori del condominio.

Secondo il giudice capitolino, l’amministratore non ha prodotto nulla che giustificasse l’indebito prelievo della cassa di importi ulteriori rispetto al compenso pattuito.

Deve ricordarsi sul punto che il compenso stabilito o accettato dall’assemblea al momento della nomina dell’amministratore, deve ritenersi omnicomprensivo di tutta l’attività (di durata annuale) a questi demandata, se non è diversamente stabilito (Cass., sent. n. 3596/2003).

Nessun compenso ulteriore è, dunque, dovuto qualora manchi una specifica delibera condominiale che abbia ritenuto di dover autonomamente remunerare l’attività straordinaria dell’amministratore

Amministratore: il risarcimento del danno per negligenza

Anche la domanda risarcitoria è fondata. Il Tribunale di Roma evidenzia innanzitutto come l’amministratore di condominio si raffiguri alla stregua di un ufficio di diritto privato, assimilabile al mandato con rappresentanza, con conseguente applicazione, tra le parti, delle norme sul mandato.

Di conseguenza, in caso di inadempimento nello svolgimento del proprio incarico, l’amministratore sarà tenuto a rispondere dei relativi danni a titolo di responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c. nei confronti dell’organizzazione condominiale.

Peraltro, l’amministratore deve esercitare il mandato con la diligenza del buon padre di famiglia, anche se si deve ritenere, alla luce della crescente specializzazione, richiesta anche dal legislatore, della figura dell’amministratore del condominio, che la diligenza debba essere quella da valutare con il più rigido criterio di cui all’art. 1176, c. 2, c.c.

Nel caso in esame, il condominio imputa al convenuto, al fine di conseguire il risarcimento del danno, di essere stato la ragione, a causa della negligenza nell’adempimento del mandato, del distacco della rete idrica che avrebbe costretto i condòmini a rimanere senza acqua per alcuni giorni.

Orbene, il fatto appare incontroverso posto che l’amministratore non lo nega ma si limita ad affermare che l’interruzione della fornitura era da addebitare alla morosità dei condomini. Tale ultima eccezione, tuttavia, non coglie nel segno atteso che il convenuto (onerato della relativa prova) non ha dimostrato la mancanza in cassa del danaro per corrispondere quanto dovuto all’azienda fornitrice, ma anche perché non ha documentato di essersi preventivamente attivato in base ai poteri che la legge gli conferisce, come quello di richiedere e conseguire decreto di ingiunzione provvisoriamente esecutivo ex art. 63 disp. att. c.c. nei confronti dei partecipanti inadempienti.